16 luoghi magici
tra camosci, enogastronomia e panorami mozzafiato
» Molère
Molère è il primo villaggio che s’incontra arrivando a Valsavarenche. E’ anche quello più costretto fra i fianchi della Valle, al punto che la parete rocciosa altissima che lo sovrasta dall’altro lato del torrente appare talmente vicina e maestosa che si resta a guardarla a lungo letteralmente rapiti. Queste rocce sembrano assolutamente inaccessibili per la loro verticalità, ma non è raro scorgervi SI camoscio muoversi con sicurezza come se nulla fosse. Anche il suo nome ha a che fare con la pietra, se è vero, com’è vero, che esso compare per la prima volta nei documenti nel 1244, indicato con la dicitura Peramolera, cioè pietra molerà o pietra da mola. Nel 1383 compare infatti il nome sotto la forma più chiara di Pierre Molere. Il primo successivo documento ritrovato salta al 1757, quando però non si ritrova più traccia del prefisso pietre e si legge soltanto Molière. Il nome del villaggio si è poi trasformato nei vari documenti fino alla forma attuale di Molère usata per la prima volta nel 1896.
» Fenille
Lasciando la frazione di Molère alle spalle, il primo villaggio che s’incontra risalendo la Valsavarenche lungo la strada regionale è quello di Fenille, posto sulla sinistra orografica del torrente Savara. Col nome moderno di Fenille il villaggio compare già in alcune fonti scritte conservate nell’ Archivio Comunale risalenti al 1757. La cappella del villaggio di Fenille è intitolata sia a Notre Dame de Pitie, sia a Santa Margherita e venne costruita dal marchese Pierre Philibert Roncas a, metà del XVII secolo, poi fu ampliata alla fine dello stesso secolo. La chiesetta, a pianta quadrata, è piuttosto alta e all’interno si può ammirare la particolare volta spicchiata a ombrello.
II toponimo Fenille deriverebbe da quello di Funil, nome ritrovato in un documento del 923 che l’eminente storico valdostano mons. Joseph Auguste Duc, Vescovo di Aosta dal 1872 al 1907, definisce come “la più antica carta valdostana arrivata fino a noi”. Due ne parla nella sua monumentale opera in 10 volumi intitolata Histoire de l’Eglise d’Aoste. In quest’antica carta del 923, il vescovo di Aosta Anseimo I, con l’autorità del re dì Borgogna Rodolfo II, incoronato l’anno precedente anche re d’Italia da papa Giovanni X, “dotò i Capitoli della Cattedrale di Aosta e della Collegiata di Sant’Orso di pezzi di terra situati a Funil, a Morat e a Arpuille”. SÌ tratta di un atto pubblico stipulato “davanti alla chiesa Sainte-Marie, cioè la Cattedrale, in presenza di Rodolfo” che agiva appunto nella sua veste di protettore della Chiesa Cattedrale di Aosta. Col nome dì Fenil questo stesso villaggio della Valsavarenche si trova citato in un documento del 1244 riportato nel Cartulaire de l’évèché d Aoste.
» Bois-de-Clin
Il nome attuale appare già nel 1689, come attesta ancora mons. Duc nell’opera già citata, tuttavia sessant’anni nel catasto del 1627, lo stesso villaggio veniva indicato col nome di Bouc de Clin, molto vicino alla pronuncia in patois Bou doe Cllien. Nell’aggiornata contemplata nella Delibera Comunale n. 68 del 6 ottobre 2006 il nome del villaggio contiene, più correttamente, i trattini unificatori tra le parole con cui il nome compariva già in un documento nel 1885.
Il villaggio di Bois-de-Clin è caratterizzato, fra le altre cose, dalla vicinanza un’ampia zona pianeggiante a nord dell’abitato. Proprio in quest’area nel 2001 è nata una coltivazione tutta particolare. Su di un terreno posto alla quota di m 1380 s.l.m. Emilia Berthod, abitante appunto a Bois-de-Clin, ha provveduto a impiantare una speciale coltivazione della limosa piantina denominata Genepì (Artemìsia umbelliformis Lam.), notissima ai raccoglitori delle Alpi. Le piantine di Artemìsia umbelliformis crescono spontanee in natura a una quota generalmente compresa fra 2400 e 3000 metri, ma a Valsavarenche si spingono, sulla Grìvola, anche fino a 3700 metri. Quella svolta da Emilia Berthod, presso il villaggio di Bois-de-Clin, è una particolare attività modernamente organizzata, ma direttamente ereditata dalla più antica attività di raccolta praticata dai montanari fin da tempi immemorabili.
Altre persone sviluppavano invece un vero e proprio amore per lo studio delle piante erbacee e facevano della raccolta un hobby scientifico. Un Maggiore Medico dì Valsavarenche, Pierre Dupont, giunto all’età della pensione, cominciò ad allestire un erbario di tutto rispetto a cui si dedicò fino alla sua morte avvenuta nel 1874, quando aveva ormai raccolto e classificato qualcosa come 1100 piante.
» Rovenaud
Oltrepassato il villaggio di Bois-de-Clin, procedendo verso il capoluogo, si raggiunge il villaggio di Rovenaud, il primo da cui s’iniziano a scorgere i ghiacciai di Valsavarenche. All’orizzonte infatti fa capolino la candida calotta di ghiaccio del Ciarforon (3640 m s.l.m.) che colpisce subito per la sua forma particolarissima. A destra del Ciarforon s’intravede anche la Becca di Monciair, con i suoi 3554 metri di altezza. Il nome Rovenaud si fa derivare dal latino mina, termine che sta alla base etimologica della parola italiana rovina.
Il primo documento noto in cui appare il nome del villaggio risale al 1305 e riporta la dicitura Rovinos, mentre l’anno in cui compare per la prima volta il nome del villaggio con la grafia attualmente in uso è il 1910. E’ il primo villaggio di Valsavarenche in cui si sono accese delle lampadine elettriche, primo concreto segnale in valle delle straordinarie scoperte che avrebbero letteralmente cambiato il mondo del XX secolo, non ultima quella degli antibiotici. A portare la luce elettrica nel suo villaggio natale di Rovenaud, è subito dopo in quello di Bois-de-Clin, fu nel 1922 l’allora sindaco Juvénal Dayné che, grazie al suo ingegno acutissimo e alla sua passione per la meccanica, riuscì a ricavare energia elettrica installando lui stesso una centralina capace di sfruttare l’energia di alcune vicine sorgenti. Nello stesso edificio che ospitava la turbina Juvénal mise in funzione nel 1930, anche la prima sega idraulica di Valsavarenche per la fabbricazione di tavole e di travi; la segheria che ospitava quell’utilissima macchina si trovava accanto al mulino del villaggio, la cui macina veniva anch’essa azionata con la forza dell’acqua.
A Rovenaud, nel 1821, nacque una scuola di villaggio per accogliere i bambini altrimenti costretti a spostarsi, anche in pieno inverno, presso la scuola del capoluogo già attiva dal 1734. Le gloriose scuole di villaggio valdostane risalgono addirittura alla fine del XVII secolo e quando nel 1911 la percentuale di analfabeti in tutta Italia raggiungeva il 46,2%, in Valle d’Aosta quella stessa percentuale era già stata abbassata all’l 1 %. La scuola di villaggio di Rovenaud venne organizzata in uno stanzone sopra la latteria turnaria, che era il laboratorio dove confluiva tutto il latte proveniente dalle diverse stalle del villaggio e si può affermare che nella latteria del villaggio ogni montanaro allevatore partecipava durante l’inverno a tutte le fasi della produzione, dalla cura dell’animale alla trasformazione del latte. La latteria è ancora al suo posto, come pure l’antico forno del villaggio. La scuola è stata interessata da un restauro conservativo. Nel 1910 fece il suo ingresso in quella scuola uno scolaro di nome Émile Chanoux, nato quattro anni prima a Rovenaud; da grande, per le sue doti intellettuali e morali e per un tragico destino, sarebbe diventato per i valdostani il personaggio simbolo della Libertà e dell’Autonomia regionale. Proprio all’ingresso della scuola restaurata di Rovenaud c’è oggi una targa di bronzo in sua memoria posta dalla sezione di Valsavarenche dell’Union Valdótaine nell’anno 2002.
Di recente a Rovenaud ha aperto la pizzetteria focacceria Zambelli e il Centro Visitatori “ Acqua e Biodiversità“
» Dégioz
Lasciato il villaggio di Rovenaud, appena 2 chilometri dopo si raggiunge finalmente Dégioz, villaggio capoluogo di Valsavarenche. Simbolo storico del villaggio è l’antichissimo campanile, accanto al quale si è andato sviluppando verso sud il nucleo antico del villaggio, un tempo attraversato dall’originaria via principale della valle. Dégioz si è poi allargato in epoca moderna verso lo cioè nella sottostante zona pianeggiante che si avvicina al torrente Savara. All’anno 1296 risale il più antico documento noto in cui viene citato questo villaggio, indicato col nome Geo. Si deve invece arrivare al 1757 per leggere l’espressione “de Géoz”, che si ritrova trasformata poi in Degioz già in documenti catastali del 1769. La forma accentata Dégioz, che è quella definitiva, compare per la prima volta nel 1877.
Arrivando a Dégioz si trova, subito a destra, la grande piazza con il Palazzo Municipale che ospita al piano terra il Centro visitatori del Parco Nazionale Gran Paradiso. Si affacciano sulla piazza anche le finestre della Scuola dell’Infanzia e Primaria Federico Chabod, situata al primo piano dello stesso edificio municipale. Di fronte al forno di Dégioz una palazzina che dà sulla piazza centrale ospita i locali doccia e il centro sauna. Nello stesso edificio c’è la Maison de la Montagne che costituisce per Valsavarenche un vero e proprio laboratorio d’iniziative turistico-culturali legate appunto alle infinite sfaccettature del territorio montano. Al suo interno è nata una Biblioteca tematica che raccoglie numerosissime opere librarie e multimediali dedicate appunto al tema della Montagna. Nei pressi della piazza si trovano gli impianti sportivi, e il grande albergo Parco Nazionale gestito dai fratelli Maria Grazia e Gabriele Preyet. Continuando sul marciapiedi svetta a sinistra l’albero monumentale di Dégioz, un Acero di monte (Acer pseudoplatanus L.) di oltre 200 anni, alto più di 16 metri, la cui circonferenza misura quasi 2 metri e mezzo.
Più avanti ci sono, uno di fronte all’altro, l’Emporio di Federico Mazzali e il bar Lo Fourquin, entrambi aperti tutto l’anno. Presso il bar, nei locali sottostanti, è attivo il servizio di noleggio degli sci di fondo e delle racchette da neve. Poco distante dal bar, svoltando all’altezza del distributore di benzina, c’è la Brasserie l’Albro de la Leunna, un suggestivo locale pub-tavola calda accogliente e variopinto. Nei locali sottostanti si trova il noleggio di sci Titti
» Vers-le-Bois
Praticamente attìguo al capoluogo di Valsavarenche, separato solo dal torrente Savara, si erge Vers-le-Bois. Il villaggio sembra quasi uscire dai boschi di conifere che, come appunto si evince dal nome, sono schierati alle sue spalle.
Vers-le-Bois è un po’ il faro degli escursionisti che si fermano a Dégioz, perché proprio fra le sue abitazioni passa il sentiero simbolo della suggestiva rete sentieristica di Valsavarenche, il quale sfiora anche la cappellina del villaggio, intitolata a Sant’Anna, la più piccola fra tutte quelle del comune. Quest’antica mulattiera, che parte appunto dal villaggio di Vers-le-Bois, è la stessa che dovevano percorrere, a cavallo o in carrozza, i re d’Italia quando volevano raggiungere la capitale della Riserva delle Regie Cacce valdostane. Essa è perfettamente curata e consente, partendo dalla quota di 1545 metri, misurata all’altezza del villaggio, di portarsi comodamente in 2-3 ore alla quota di 2168 metri di Orvieille, dove si trova appunto la casa che faceva parte nella seconda metà del XIX secolo dell’accampamento di caccia dei Re. E’ proprio nei pressi dell’imboccatura di questo “sentiero a misura di re” che, all’epoca delle Regie Cacce, nacque il primo negozio di Valsavarenche, la rivendita di sali e tabacchi di cui ancora restano-alcune tracce riconoscibili dell’insegna.
In questo tipico villaggio montano si trova l’Affittacamere Vers le Bois di Valentina e Cristian.
» Les Toules
II villaggio più giovane di Valsavarenche si chiama Les Toules. Sorge su quei prati che si trovano fra i villaggi di Dégioz e di Le Nex e la prima casa che vi è stata costruita risale agli anni ’60 del secolo scorso.
Le toules indicavano porzioni di prato in pendenza, di forma rettangolare, divise fra loro da piccoli ruscelli che scorrevano quasi orizzontalmente. Questi ruscelli, chiamati ra, posti parallelamente a una certa distanza tra loro, provenivano e si alimentavano da un canale irriguo più grande, chiamato grand ru, che scorreva più ripidamente all’estremo margine delle toules. I montanari utilizzavano un’apposita diga mobile, chiamata la tzèreite, per interrompere il flusso del ru facendo tracimare l’acqua che andava così ad irrigare la toula sottostante. La tzèreite serviva anche ad incanalare l’acqua all’interno di certi rigagnoli chiamati tzeveillon, i quali venivano opportunamente scavati per fare arrivare l’acqua anche a certe aree che per la particolare morfologia del terreno rimanevano più asciutte. L’irrigazione si svolgeva a rotazione e se necessario si andava a spostare la tzèreite anche di notte.
Il grand ru è ancora oggi ben visibile, perché è stato interamente sistemato e scorre fra le case del villaggio.
» Le Nex
Le Nex è un graziosissimo e piccolissimo villaggio che s’incontra proseguendo per la stessa via che attraversa la precedente frazione di Les Toules. Compare sui documenti già col nome attuale dal 1783, Le casine di Le Nex oggi costituiscono un bell’esempio di ristrutturazione compiuta nel pieno rispetto dell’originario assetto architettonico. Il villaggio era ormai semiabbandonato quando alla fine degli anni ’70 del secolo scorso un’impresa immobiliare diretta dall’ing. arch. Franco Binel, che aveva conosciuto Valsavarenche da partigiano, rilevò tutti gli immobili dai tanti proprietari sparsi per il mondo e presentò al Comune un progetto per una ristrutturazione globale e coordinata di quelle casette, che oggi formano un quadretto incantevole e ammirato da tutti. La ristrutturazione durò quasi 5 anni. Si trattò di un restauro conservativo, seguito a uno studio rispettoso dei volumi e dei materiali originali.
Diversi autori hanno voluto stabilire una relazione fra il nome del villaggio, Le Nex, e quello usato per indicare le buche piene d’acqua in cui venivano messi a macerare i fasci della canapa per predisporre la piànta alla successiva preparazione per la filatura finale. Infatti la fossa in cui veniva versata e ricambiata l’acqua per la macerazione dei fusti di canapa da cui estrarre le fibre tessili era chiamata nèce.
A Valsavarenche esiste un altro toponimo analogo, Los Nes, che individua un luogo situato fra un torrentello chiamato Éivetta e il torrente Savara, vicino a un mulino privato, sotto il villaggio di Le Créton. Anche qui è stato ipotizzato un analogo collegamento con le fosse per la macerazione della canapa. In questo secondo caso il parallelo sembra confermato dalla presenza di acque correnti, che invece mancano nelle immediate vicinanze del villaggio di Le Nex. Sta di fatto che i documenti catastali del 1627 segnalano comunque la presenza a Valsava-renche di 13 piccoli campi di canapa: les chènevieres.
Certamente in Valle d’Aosta fino all’inizio del XX secolo sono state prodotte stoffe di canapa per la fabbricazione, per esempio, di camicie, lenzuola, asciugamani, sacchi per farina, salviette per coprire i pani di burro. Come pure con la canapa potevano venir confezionati i teli per trasportare il fieno. Anche spago e cordicelle venivano fabbricati con lo stesso materiale.
» Tignet
Tignet è il villaggio attiguo a quello di Le Nex e si è sviluppato su un promontorio che sovrasta la strada regionale della Valsavarenche. Il documento più antico pervenutoci in cui viene citato il villaggio è del 1691: il nome è riportato con la grafia Tigne. Dal 1757 invece si trova regolarmente la grafia attuale di Tignet. Colpisce subito, di questo villaggio, la cappellina col suo piccolo campanile. E’ stata intitolata a Notre Dame des Neiges, a San Giuseppe, a San Leonardo, a Santa Barbara e a San Giovanni Battista. Nel 1776 gli abitanti del villaggio elessero come loro patrona Notre-Dame de Protection. Nella cappella di Tignet l’altare è decorato da un paliotto di tela dipinta a tempera grassa del tutto simile a quello conservato nella cappella di Rovenaud: le immagini che vi sono raffigurate sono le stesse, mentre la misura è leggermente più piccola.
E’ l’unico villaggio di Valsavarenche, a parte il capoluogo, ad avere la cappella col campanile; quest’ultimo venne aggiunto oltre un secolo e mezzo dopo la costruzione della cappella, che risale alla seconda metà del XVII secolo. Il campanile venne infatti costruito nell’agosto del 1832, lo stesso mese in cui Valsavarenche venne funestata da una devastante onda anomala che percorse il torrente Levionaz, il corso d’acqua che passa proprio accanto al villaggio di Tignet. L’ondata si generò da un lago che si era formato presso il ghiacciaio Timorion, sopra l’alpe di Levionaz. Come tutti ghiacciai alpini anche questo era enormemente cresciuto nel corso della piccola età glaciale, iniziata fin dal 1550, e come molti di essi aveva raggiunto il suo culmine intorno al 1820. La notte del 2 agosto del 1832 un’enorme massa di ghiaccio precipitò nel lago che si era formato presso il soprastante ghiacciaio Timorion, generando appunto l’improvvisa fuoriuscita dell’acqua. Quell’acqua raggiunse rapidamente il fondovalle dove arrivò ulteriormente rafforzata dalla valanga di fango e dai massi che si tuffavano con lei verso valle. A Tignet travolse due mulini, un altro lo atterrò a Bien. Ricoprì tutta la piana di Dégioz. Anche a Fenille i campi furono ricoperti di fango, di detriti e perfino di resti degli animali che alpeggiavano a Levionaz. Le strade e 12 ponti furono danneggiati.
Il torrente Levionaz forma davanti a Tignet una splendida cascata raggiunta dal sentiero n. 10 che prosegue poi nel bosco.
A Tignet nel periodo estivo è possibile soggiornare presso il B&B Lo Mantillon.
» Payel
Payel è il piu piccolo villaggio di Valsavarenche. Il primo documento noto in cui viene citato il villaggio risale al 1249, e il nome vi compare così com’è oggi: Payel.
» Toulaplanaz
Anche Toulaplanaz rimanda etimologicamente, come Les Toules, alla toula, la porzione di prato quadrangolare individuata dai ruscelletti di irrigazione. In questo caso evidentemente il riferimento è a un prato con scarsissima pendenza. Il nome del villaggio si registra per la prima volta in un documento catastale del 1627, con la grafia Tollaplanaz, nel 1757 compaiono le forme Tolda Planaz, Toida Plana e Toulaplana. L’attuale nome Toulaplanaz si ritrova invece in documenti dell’archivio comunale relativi al 1783. Il villaggio sorge nell’area verde sottostante alla frazione dì Payel.
Non c’è quasi soluzione di continuità fra Toulaplanaz e l’attiguo abitato di Le Créton.
La via più corta per raggiungere da Toulaplanaz la strada regionale attraversa, infatti, tutto Le Créton, per poi oltrepassare il torrente con un ponte all’altezza del villaggio di Bien. Da Toulaplanaz parte il piacevolissimo sentiero n. 7, il più corto di tutti quelli che conducono all’accampamento dei re a Orvieille. Il sentiero, dopo una piacevole passeggiata nel bosco, attraversa una suggestiva radura, alla quota di quasi 2000 m s.l.m., dove si trovano i ru, un piccolissimo e antico villaggetto chiamato La Rua, un tempo abitato tutto l’anno. Da quella radura si ammira anche la veduta sull’altro lato della valle, in cui spicca, proprio di fronte, il torrente Levionaz, che si può seguire con lo sguardo fino a quando non sparisce nella foresta.
» Le Créton
Il villaggio di Le Créton viene citato per la prima volta, stando ai documenti noti, nel 1435, col nome di Cresto. Nei documenti catastali del 1627 il villaggio viene indicato col nome Creston. La grafia Créton, senza accento, risale al 1757, mentre la forma accentata Créton è del 1820, Il nome attuale Le Créton, assegnatogli dall’apposita Commissione regionale di esperti, prevede l’aggiunta dell’articolo in quanto esso c’è già nella pronuncia patois del nome: Lo Créhòn.
Nato effettivamente su un crestone, come dice lo stesso nome, Le Créton è il villaggio che, unito a quello di Toulaplanaz, avrebbe potuto contendere, per numero di abitanti, la fascia di capitano toccata invece a Dégioz. Se contesa c’è mai stata in questo senso, essa è racchiusa tutta nella leggenda secondo cui, quando a Valsavarenche si stava decidendo di dare una casa alla statuetta miracolosa della Madone de la Fontaine, custodita presso Degioz, la madonnina stessa, nottetempo, si spostava misteriosamente a Le Créton, tanto che gli abitanti erano indecisi sulla conveniente collocazione della chiesa da intitolare a Notre-Dame de la Fontaine. Anche se Le Créton non ha potuto evidentemente ospitare la chiesa parroc-chiale, il villaggio ha comunque la sua bella cappellina intitolata a San Giovanni Evangelista. La chiesetta venne costruita dagli abitanti nel 1799 su un terreno messo a disposizione da un sacerdote originario di Valsavarenche, di nome Jean-Léonard Chabod.
A Créton potete trovare l’apicoltore Livio Carlin e le verdure di Irene
» Bien
Il villaggio di Bien si trova sulla destra orografica del Savara, a circa 2 chilometri dal capoluogo Dégioz. Il primo documento noto in cui compare il nome di Bien, scritto già con la grafia Bien, è del 1757, il villaggio però è certamente più antico. Alla sommità di Bien si trovano infatti diverse case che risalgono a metà del XVII secolo. Alle spalle di queste storiche abitazioni svetta un insieme di larici plurisecolari, dichiarati piante monumentali con un apposito provvedimento dell’autorità regionale. Si tratta di una formazione forestale composta da quasi 90 piante di Larice (Larìx decidua Mill.) che svolgono una specifica funzione protettiva, salvaguardando e tenendo al riparo il villaggio da cadute di massi e valanghe. Queste piante, indicate col nome collettivo “la Flotta di Bien”, hanno ormai più di 350 anni; l’altezza massima raggiunta dai singoli esemplari è di 31 metri, mentre le circonferenze arrivano fino a 4 metri e mezzo.
A Bien si trova una semplice cappella di costruzione recente: è stata benedetta il 15 agosto 1964 dal vescovo di Aosta mons. Maturino Blanchet ed è dedicata a Sant’Anna.
A Bien è possibile soggiornare presso Hotel Camping Grivola, e aperto tutto l’anno troverete l’Agriturismo Lo mayen. Inoltre nel periodo estivo, nei pressi dell’hotel camping Grivola è aperto un piccolo un minimarket.
» Maisonnasse
Maisonnasse si trova appena a mezzo chilometro da Bien, sulla sinistra orografica del Savara. Il nome compare per la prima volta in un documento del 1757, nella forma Maisonnasse. Con Fattuale grafia Maisonnasse, invece, lo si trova citato per la prima volta nel 1786. Sopra, al grazioso gruppo di case, antiche e moderne, tra le quali si sale attraversando stretti vicoletti, si trovano ancora diversi campi terrazzati coltivati a patate. Questo tipo di coltura ha avuto in passato una grande importanza per la popolazione di Valsavarenche, e ancor oggi le patate sono coltivate regolarmente, costituendo una vera e propria specialità della valle. Gli agricoltori collaborano inoltre con lnstitut Agrìcole Régional che svolge delle vere e proprie ricerche sulla pataticoltura della Valsavarenche, relative in particolare al confronto varietale.
» L’Eau-Rousse
L’Eau-Rousse è il villaggio in cui s’incrociano due tracciati di rotta i molto importanti per il turista: la strada regionale di Valsavarenche e il sentiero dell’Alta Via n. 2 e percorso dove passa lo TOR DE GEANTS. La strada regionale consente di arrivare comodamente al villaggio. L’Alta Via conduce magicamente nel bel mezzo del Parco Nazionale Gran Paradiso. Quest’ultimo megasentiero attraversa longitudinalmente, sulla destra orografica della Dora Baltea, tutta la Valle d’Aosta: a Valsavarenche esso raggiunge il punto più alto con il col Lauzon che si trova a 3296 metri di quota e unisce Valsavarenche a Cogne, Il tratto dell’Alta Via che percorre trasversalmente Valsavarenche unisce il col Lauzon con il col de l’Entrelor, a quota 3007 m s.l.m., e nel far questo collega splendidamente anche il villaggio di L’Eau-Rousse alla casa di caccia di Orvieille. Quest’ultimo tratto è denominato sentiero natura perché è un condensato dell’e ricchezze offerte dal patrimonio naturalistico del Parco: percorrendolo, tra l’altro, si resta colpiti dal colpo d’occhio sul villaggio di Bien, dalla maestosità della Grivola e, naturalmente, dalla visione del Gran Paradiso.
Nel villaggio di L’Eau-Rousse si può soggiornare presso l’Hotel Ristorante A l’Hostellerie du Paradis.
Subito fuori da quest’albergo, si può assistere a un vero e proprio spettacolo eco-idro-geologico per la presenza di un’imponente scarpata imbiancata da depositi calcarei travertinosi e solcata dalle acque ferruginose che fuoriescono dalla montagna colorando di rosso intenso la parete della scarpata stessa.
La sorgente appena a monte di L’Eau-Rousse presenta almeno due caratteristiche singolari.
1) Si tratta di una sorgente che produce travertino. Il travertino è una roccia chiara, calcarea (essenzialmente carbonato di calcio con formula CaCO3, la stessa formula del marmo), che si forma per precipitazione chimica. Infatti l’acqua che circola sopra e sotto il massiccio di Entrelor, durante la sua circolazione sotterranea, discioglie il carbonato di calcio che trova abbondante nel terreno e se Io incorpora a certe condizioni di pressione e temperatura. Quando sgorga a L’Eau-Rousse, queste condizioni mutano improvvisamente (la pressione di CO2 diminuisce e l’aria ha una temperatura diversa dalla roccia) cosicché l’acqua cede una parte del suo calcare disciolto, che si deposita intorno alla sorgente. Il calcare così incrosta e ricopre tutto quello che trova: foglie verdi o secche, ramoscelli, pietruzze. Dopo un po* la materia organica incorporata si decompone e sparisce, lasciando la roccia bucherellata irregolarmente: è il travertino, roccia leggera e facilmente lavorabile, prediletta dai Romani anche in Valle d’Aosta per rivestimenti (ponti, mura di Aosta). Si tratta della roccia coerente più “giovane” delle Alpi (tutte le altre rocce hanno almeno qualche decina di milioni di anni, il travertino si forma sotto i nostri occhi) e si produce in vari punti della catena alpina e altrove (in Valle d’Aosta, ad esempio, anche a Vétàn nel comune di Saint-Pierre).
2) Le incrostazioni prodotte intorno alla sorgente sono rossicce. Questo è dovuto al fatto che le rocce attraversate dalle acque sotterranee, facenti parte del massiccio di Entrelor, non sono costituite da calcare puro, come quello depositato sui bassi fondali marini (le tipiche piattaforme carbonatiche continentali invase dal mare: alto A-driatico e Puglie, mare del Nord…), ma da metasedimenti di fondali oceanici. Sul fondo dello scomparso oceano Tetide infatti gli attuali calcescisti dell’Entrelor molte decine di milioni di anni fa erano fanghi e resti organici di alto mare. Essi furono coinvolti nei tipici fenomeni idrotermali (circolazione delle acque nella roccia profonda) che si svolgono anche attualmente sul fondo delle dorsali oceaniche. La circolazione delle acque sul fondo degli oceani, che sono le parti più attive del nostro Pianeta, distribuisce nelle rocce abissali, e quindi anche nei sedimenti, una gran quantità di metalli pesanti e di minerali rari, che ritroviamo poi nelle rocce delle nostre montagne. Queste impurità, soprattutto ferrose, veicolate ora dall’acqua meteorica, finiscono per depositarsi colorando l’orifizio della sorgente e le sponde del ruscello che ne deriva. (Francesco Prinetti, 2007).
Per osservare una bella veduta del villaggio e della sua acqua rossa bisogna incamminarsi per il tratto di Alta Via n. 2 che collega L’Eau-Rousse al col Lauzon. Proprio all’inizio del sentiero, prima di entrare nel bosco, all’altezza dei prati di Méod, si ha un quadretto davvero completo con una visione d’insieme del villaggio sovrastato appunto dalla parete colorata di rosso. Proseguendo sullo stesso sentiero si può raggiungere l’imperdibile vallone di Levionaz, attraversando una vasta area boschiva con le specie tipiche di Valsavarenche: L’Abete rosso e Pino cembro.
» Le Pont
Lasciandosi alle spalle il villaggio di L’Eau-Rousse per raggiungere il villaggio di Le Pont, il più elevato della Valsavarenche, s’incontra molto presto l’area picnic Le Foncey ricavata nel fondovalle, come una piccola culla, disegnando dei sentierini fra gli alberi di conifere a due passi dal torrente.
Proseguendo ancora sulla strada regionale s’incontra il Camping Gran Paradiso, collocato fra gli alberi di Le Plan-de-la-Pesse nelle vicinanze di suggestivi giochi d’acqua naturali, lungo il torrente alimentato proprio dai ghiacciai del Gran Paradiso. A pochissima distanza dal campeggio inizia il sentiero numero 5, che conduce al Rifugio Federico Chabod, costruito su un terrazzo proprio davanti alla parete nord-ovest del Gran Paradiso.
Il villaggio di Le Pont si presenta come un’estesa area circondata dalle montagne ed in inverno Le Pont è indissolubilmente associato allo sci di fondo, perché vi si snodano 5 chilometri e mezzo di piste supercurate con un tracciato tecnicamente completo e paesaggisticamente degno di un parco nazionale. Vari anelli della stessa pista costituiscono altrettanti percorsi predisposti per consentire agli sciatori di scegliere il tragitto con la lunghezza e le caratteristiche tecniche più adatte ai rispettivi gusti.
Il contesto paesaggistico in cui sono state disegnate le piste di Le Pont è davvero suggestivo; particolarmente affascinanti le alte vette che fanno da sfondo alle piste: il Ciarforon (3640 m), la Becca di Monciair (3554 m), i Denti del Broglio (3454 m), il Grand Etret (3201 m), Mare Perda (3385 m) e Punta Fourà (3387 m). L’ambiente ideale, insomma, a 2000 metri di quota, al riparo da smog e da inquinamenti, per praticare, ma anche per imparare, lo sci di fondo.
Qui tutto l’anno è possibile soggiornare presso l’Hotel Gran Paradiso
In estate il villaggio di Le Pont diventa un campo base per escursioni e ascensioni da dieci e lode. Una parte dell’estesa pianura si trasforma nel campeggio Pont Breuil che ha il suo negozio fornitissimo di generi alimentari con tanto di reparti gastronomia e pasticceria.
Da Le Pont partono, fra gli altri, due sentieri davvero speciali. Il primo è il sentiero n. 1, che conduce al Rifugio Vittorio Emanuele II, mirabile meta escursionistica e punto tappa per l’ascensione al Gran Paradiso. All’inizio del sentiero troverete anche il rifugio ristorante Tetras-Lyre.
Il secondo è il sentierio n. 3, che conduce, invece, presso il Nivolet: una località straordinaria con laghi, rifugi, torrenti, meandri, ruderi, marmotte, camosci e altre infinite emozioni. Qui si trovano il Rifugio Città di Chivasso e il Rifugio Savoia